BURQA VIETATO. COME IL PASSAMONTAGNA

Questa storia del burqa si sta inutilmente complicando. Per una volta, però, non è (tutta) colpa nostra. Noi italiani, semmai, subiamo le cattive compagnie, nel caso specifico rappresentate dalla Francia. Com’è noto, il Parlamento francese si avvia a promulgare una legge che vieterà il burqa e il niqab (il velo integrale che lascia liberi solo gli occhi)  nei luoghi pubblici. Nel contempo, gli stessi deputati d’Oltralpe (per esempio il comunista André Gerin, relatore della Commissione parlamentare che ha raccomandato il divieto) hanno sollevato un gran polverone a base di difesa della laicità, liberazione della donna e protezione del costume e della cultura dei francesi.

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Nulla di tutto questo ha senso. Vietare il burqa nei luoghi pubblici (uffici, scuole e così via) non libera le donne (che, se obbligate a portarlo, semmai si ritroveranno chiuse in casa) e non protegge i costumi di Francia. Nulla c’entra, poi, la laicità, perché il burqa e il niqab non sono il prodotto di precetti religiosi (non c’è nulla in proposito nel Corano e nemmeno nelle principali opere giurisprudenziali dell’islam) ma imposizioni maschiliste basate sull’estremizzazione di vecchie tradizioni. D’altra parte, chi ha un minimo di conoscenza del mondo islamico contemporaneo sa che il burqa è usato quasi solo in Afghanistan e il niqab da una porzione minoritaria di Paesi che, di solito, sono quelli con cui abbiamo i rapporti più cordiali e le relazioni economiche più solide (il solo Iran escluso, dove peraltro le donne usano il chador, che lascia il viso scoperto). Mentre i musulmani nel mondo sono 1 miliardo e 200 milioni.

Vietare il burqa e il niqab è possibile, legittimo e credo anche utile. Ma per ragioni assai meno futili e complesse: perché in una società complessa e tecnologicamente avanzata come la nostra, dove l’interazione tra le persone è continua, non è accettabile che una porzione anche piccola della popolazione vada in giro nascosta, resa irriconoscibile da un abito. L’Italia, da questo punto di vista, è attrezzata fin dal 1975, cioè fin da quando il terrorismo ci spinse a varare un decreto che vietava a chiunque di andare in giro a volto coperto. Che il volto fosse coperto da un passamontagna, da un casco o da un burqa non faceva allora, e non fa oggi, alcuna differenza.

Come si vede, dunque, potremmo intervenire già adesso sulle donne musulmane che portano il burqa. La polizia potrebbe fermarle, controllare identità e documenti e quindi costringerle a scoprire il volto. Come intervento sarebbe intransigente ma anche molto più intelligente dello spontaneismo di tutti quei sindaci leghisti che hanno fatto la loro bella e ordinanza in proposito, per vederla poi sempre respinta dai prefetti perché la gestione della sicurezza spetta allo Stato e non ai comuni.

Quelle iniziative (come la mongolfiera retorica dei francesi, che già svolazza sui nostri politici) erano sbagliate e inopportune anche per un’altra ragione. Quando imponiamo agli stranieri di rispettare le nostre leggi (anche quella di non andare in giro a volto coperto), affermiamo in modo assolutamente legittimo il valore della sovranità nazionale. Siamo uno Stato sovrano, all’interno dei nostri confini valgono le nostre leggi. Punto e fine del discorso. Quando invece cominciamo a brancicare con l’idea che dobbiamo insegnare agli altri a campare, che vogliamo renderli più evoluti, che il nostro scopo è liberare questo o quello, apriamo più o meno consciamente il fronte di una “guerra” (è troppo? Allora diciamo “polemica”) tra civiltà che non conviene a nessuno. Nemmeno a noi.

Fulvio Scaglione

Mi chiamo Fulvio Scaglione, sono nato nel 1957, sono giornalista professionista dal 1983. Dal 2000 al 2016 sono stato vice-direttore del settimanale "Famiglia Cristiana", di cui nel 2010 ho anche varato l'edizione on-line. Sono stato corrispondente da Mosca, ho seguito la transizione della Russia e delle ex repubbliche sovietiche, poi l'Afghanistan, l'Iraq e i temi del Medio Oriente. Ho pubblicato i seguenti libri: "Bye Bye Baghdad" (Fratelli Frilli Editori, 2003) e "La Russia è tornata" (Boroli Editore, 2005), "I cristiani e il Medio Oriente" (Edizioni San Paolo, 2008), "Il patto con il diavolo" (Rizzoli 2017).

4 Commenti

  1. Enrico Usvelli said:

    Ok, vietiamo il burqa perchè siamo una nazione sovrana.
    Spero che però il passo successivo non sia: abbiamo vietato il burqa, vietiamo anche la croce e tutti gli altri simboli religiosi indossati in maniera visibile.
    Perchè qualcuno ci proverà. Credo lo veda anche tu che c’è un grosso tentativo in atto per ridurre la religione a un fatto privato. Ognuno sarà libero di esprimere la propria religiosità, ma solo all’interno della propria camera. In nome della laicità dello Stato, naturalmente.

  2. Fulvio Scaglione said:

    Caro Enrico,
    vietiamo il burqa (come il casco o il passamontagna) per una questione di ordine pubblico e di sicurezza. E la gestione di questi due aspetti, certo, contribuisce a definire la sovranità di uno Stato entro i suoi confini. Per il resto, appunto, stiamo attenti ai troppi entusiasmi per la legislazione e gli atteggiamenti francesi. Quello che tu dici l’hanno già fatto, i francesi, e il risultato qual è: uno sterile pseudo-culto della laicità e una totale incapacità di prevedere e affrontare i problemi reali (altro che burqa) delle comunità straniere (vedi rivolta delle banlieu).
    Ciao, a presto

    Fulvio

  3. Claudia said:

    Ciao Fulvio,
    tu dici “l’Italia (…) è attrezzata fin dal 1975, cioè fin da quando il terrorismo ci spinse a varare un decreto che vietava a chiunque di andare in giro a volto coperto”. Purtroppo non è propriamente così. Infatti la l’art.5 della legge 152/1975 ha un assoluto bisogno di essere in qualche modo integrato, poichè indica come reato il prendere parte a pubbliche manifestazioni, svolgentisi in luogo pubblico o aperto al pubblico, facendo uso di caschi protettivi o con il volto in tutto o in parte coperto mediante l’impiego di qualunque mezzo atto a rendere difficoltoso il riconoscimento della persona. Dunque chi transita o sosta in un luogo pubblico per motivazioni private non commette reato. L’opinione comune che il burqa (o il casco, o qualunque altro mezzo) sia vietato nei luoghi pubblici garantisce una maggior sicurezza anche, per esempio, negli esercizi commerciali. Di certo però, se tutti conoscessero la legge si potrebbe tranquillamente entrare in una banca con un passamontagna e non commettere alcun reato.

  4. Fulvio Scaglione said:

    Cara Claudia,
    grazie per la precisazione, in effetti importante. Non cambia, pero’, il nocciolo del mio ragionamento: fare una legge per il burqa, in Italia, e’ un assurdo e nasconde un piu’ o meno chiaro intento razzista.. Non si puo’ partecipare a pubbliche manifestazioni in luogo pubblico con il volto coperto (vedi legge del 1975), quindi cio’ vale per il burqa, il casco, il passamontagna ecc. ecc. Se e’ la sicurezza cio’ che ci preme, specifichiamo meglio l-ambito di quella legge. Se abbiamo in mente di fare una legge apposta per il burqa (permettendo invece, come dici tu, di andare in banca con il passamontagna), siamo, secondo me, un po’ razzisti e un po’ fessi.
    Ciao, a presto, grazie

    Fulvio

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