EGITTO E IRAQ, UNA SOLA PERSECUZIONE

Mentre sette cristiani copti (sei fedeli e una guardia) venivano uccisi nel villaggio di Nag Hammadi, nell’Alto Egitto, in un’area non lontana da Luxor, a Mosul, nell’Iraq del Nord, ancora si piangeva la morte di Basil Isho Youanna, un cristiano ucciso a colpi d’arma da fuoco sulla porta di casa, ancora si cercavano notizie di una studentessa cristiana rapita da un gruppo islamico, ancora si aspettavano novità positive sulla sorte di Zhaki Bashir Homo, un commerciante cristiano della stessa Mosul ferito a colpi di pistola. L’agenzia AsiaNews ha calcolato che in Iraq, dal 2003, sono stati uccisi 2 mila cristiani, mentre la popolazione cristiana del Paese è stata ridotta della metà dall’emigrazione forzata causata dalle violenze.

     

Egitto: una manifestazione di protesta di cristiani copti, a stento contenuta dalla polizia, dopo le violenze dei gruppi musulmani.

Egitto: una manifestazione di protesta di cristiani copti, a stento contenuta dalla polizia, dopo le violenze dei gruppi musulmani.

      L’origine di questi episodi è di solito rubricata alla voce “estremismo islamico”. E’ un effetto dei tempi e di un fondamentalismo islamico armato che non solo esiste ma colpisce spesso e con spietatezza. Ma non è sempre vero. Nel Nord dell’Iraq, per esempio, la persecuzione dei cristiani di questi ultimi anni ha cause ben più concrete e terrene che non l’odio religioso. I cristiani sono presi in mezzo nella contesa che oppone i curdi agli arabi (e il governo della Regione autonoma del Kurdistan a quello centrale di Baghdad) per il controllo del Nord. In particolare, delle sue frontiere (per i curdi, ampliare il Kurdistan vorrebbe dire portalo alla frontiera con la Turchia e veder così crescere le possibilità di arrivare a uno Stato dei curdi), dei suoi giacimenti di petrolio, dei corsi d’acqua.

      Sui cristiani sparano sia gli arabi sia i curdi, perché far fuggire i cristiani o costringerli con la violenza a schierarsi dall’una o dall’altra parte significherebbe alterare i dati demografici della regione (dove i cristiani sono numerosi) e quindi far pendere dall’una o dall’altra parte l’esito del referendum sullo status della regione di Kirkuk (di nuovo, ricca di petrolio), rimandato da almeno tre anni proprio per il rischio di guerra civile che comporta.

      Anche nella strage egiziana sembra aver giocato un ruolo quello che viene descritto come un episodio da cronaca nera (la violenza ai danni di una bambina musulmana di 12 anni da parte di un giovane cristiano) e che potrebbe benissimo, invece, essere una riedizione araba di Giulietta e Romeo, un amore o una relazione contrastata tra persone di comunità diverse e avversarie, pronte a coprire con la bandiera della fede un’offesa o una vendetta familiare, di clan o di tribù.

La croce copta.

La croce copta.

      Resta però il fatto che sia i copti in Egitto sia i cristiani in Iraq sono perseguitati in Paesi di cui, a dispetto della maggioranza islamica (in Egitto i copti sono il 10% degli 80 milioni di abitanti, in Iraq i cristiani erano circa il 2% fino all’ultima guerra contro Saddam Hussein), sono la parte più antica e originale. I copti sono gli unici abitanti dell’Egitto moderno a potersi dire con certezza discendenti degli antichi egizi, senza essersi mescolati con gli arabi o i turchi. La loro Chiesa, erede diretta della grande tradizione monastica orientale, risale al I secolo dopo Cristo, alla predicazione che l’evangelista Marco condusse in Egitto, ed è dunque di almeno sei secoli antecedente alla nascita dell’islam. Lo stesso termine “copto” in arabo si traduce “qubt”, a sua volta derivata dal greco “aigyptos”, cioè appunto “egiziano”. I copti cominciarono a chiamarsi … copti solo con la conversione all’islam di gran parte della popolazione egiziana (negli anni tra il 639 e il 646), quando quel nome prese a indicare coloro che erano rimasti fedeli al culto più tradizionale del Paese (“qubt”, cioè appunto “egizio”) rispetto al nuovo credo arrivato da fuori, cioè l’islam.

       Analoga la storia del cristianesimo iracheno che nacque, secondo la tradizione, dalla predicazione di san Tommaso il quale, sempre secondo la tradizione, fu poi martirizzato nel 72 dopo Cristo in India. Anche qui, il cristianesimo precedette di sei secoli l’arrivo dell’islam. Anche in Iraq, dunque, i cristiani attingono a un serbatoio spirituale che affonda le proprie radici in profondità ignote all’attuale maggioranza islamica.

      Le attuali sofferenze dei cristiani iracheni ed egiziani hanno dunque due origini, una antica e l’altra recente. Quella antica è la natura esclusiva (e non “inclusiva”, com’è invece nel cristianesimo) della società islamica. Essa infatti fu costruita già da Maometto in modo da garantire che la maggioranza musulmana resti sempre tale; le minoranze, quelle almeno “del Libro” (cristiani, ebrei, zoroastriani), non sono accettate ma solo tollerate, e spesso hanno dovuto riscattare a caro prezzo questa specie di sopportazione. Un atteggiamento che non sempre, in passato, si è tradotto in violenze e persecuzioni ma che si è tramandato attraverso i secoli fino ai moderni teorici del fondamentalismo islamico.

       L’origine moderna della persecuzione sta nella totale incapacità dei Governi dei Paesi islamici a garantire l’effettiva parità di tutti i loro cittadini, a dispetto della fede praticata. Si badi bene: il governo dell’Egitto e quello attuale dell’Iraq (per non parlare di quelli del Pakistan o delle Filippine, altri Paesi a rischio per i cristiani) sono considerati buoni amici dell’Europa e degli Usa. L’Egitto è addirittura il secondo Paese al mondo, dopo Israele, per aiuti diretti dall’America, e il presidente Hosni Mubarak non è certo stato tenero con i Fratelli Musulmani. Anche per loro, però, risulta troppo ampio, anzi incolmabile, il divario tra il mancato sviluppo economico e sociale e le regole di convivenza tra gruppi che la democrazia impone per poter essere definita tale.

Fulvio Scaglione

Mi chiamo Fulvio Scaglione, sono nato nel 1957, sono giornalista professionista dal 1983. Dal 2000 al 2016 sono stato vice-direttore del settimanale "Famiglia Cristiana", di cui nel 2010 ho anche varato l'edizione on-line. Sono stato corrispondente da Mosca, ho seguito la transizione della Russia e delle ex repubbliche sovietiche, poi l'Afghanistan, l'Iraq e i temi del Medio Oriente. Ho pubblicato i seguenti libri: "Bye Bye Baghdad" (Fratelli Frilli Editori, 2003) e "La Russia è tornata" (Boroli Editore, 2005), "I cristiani e il Medio Oriente" (Edizioni San Paolo, 2008), "Il patto con il diavolo" (Rizzoli 2017).

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