EUROPA: VIA IL CROCEFISSO DALLE AULE E VIA LA STORIA DAI CERVELLI

Non è che mi capiti tutti i giorni. Oggi, però, sono perfettamente d’accordo con l’onorevole Gasparri nel chiedermi: “Ma che razza d’Europa è questa?”. Che razza di Europa è un’Europa che definisce la presenza del crocefisso nelle aule delle scuole italiane “una violazione del diritto a educare i figli secondo le loro convinzioni” oltre che “una violazione alla libertà di religione degli alunni”?

      Quali cittadini europei possono scrivere, senza farsi ridere da soli, una sentenza che dice: “La presenza del crocefisso, che è impossibile non notare nelle aule scolastiche, potrebbe essere facilmente interpretata dagli studenti di tutte le età come un simbolo religioso. Avvertirebbero così di essere educati in un ambiente scolastico che ha il marchio di una data religione”. Il che “potrebbe essere incoraggiante per gli studenti religiosi ma fastidioso per i ragazzi che praticano altre religioni, in particolare se appartengono a minoranze religiose o se sono atei”. In più, non si riesce a comprendere “come l’esposizione, nelle classi delle scuole statali, di un simbolo che può essere ragionevolmente associato con il cattolicesimo, possa servire al pluralismo educativo che è essenziale per la conservazione di una società democratica così come è stata concepita dalla Convenzione europea dei diritti umani, un pluralismo che è riconosciuto dalla Corte costituzionale italiana”.

CrocefissoNo

      Non sto a riepilogare una vicenda che dura dal 2002, da quando la signora Soile Lautsi Albertin, italiana originaria della Finlandia, aveva chiesto all’istituto frequentato dai suoi due figli ad Abano Terme (Padova) di togliere i crocefissi dalle aule in nome della laicità dello Stato. Preferisco ricordare i nomi dei sette giudici che hanno redatto quest’ultima sentenza: Francoise Tulkens (Belgio, presidente), Vladimiro Zagrebelsky (Italia), Ireneu Cabral Barreto (Portogallo), Danute Jociene (Lituania), Dragoljub Popovic (Serbia), Andras Sajo (Ungheria) e Isil Karakas (Turchia). Sette giudici dei quali almeno cinque in rappresentanza di Paesi (Belgio, Italia, Portogallo, Lituania e Serbia) in cui la civiltà e la cultura cristiana sono inseparabili dalla storia nazionale.

      Dico questo perché la sentenza della Corte di Strasburgo non sa tanto di laicismo, come molti hanno con qualche ragione sospettato, ma di astrattismo. Pare redatta da gente che vive sulla Luna, non sulla Terra. Il crocefisso, in effetti, è proprio “un simbolo religioso” che può essere “ragionevolmente associato con il cattolicesimo”. E allora? Il cattolicesimo non è forse parte integrante dell’identità di questo Paese che chiamiamo Italia? Non è il cattolicesimo ad avere sempre influenzato la sua storia? E’ forse un problema ricordarlo? O forse i giudici immaginano un Paese (uno qualunque) in cui nulla fa mai riferimento a null’altro, uno spazio sotto vuoto pneumatico privo di qualunque segno d’identità in cui tutti possano vivere come se lo avessero creato loro un attimo prima?

      Un poco di mondo l’ho girato e sempre ho dovuto districarmi in una selva di simboli: etnici, di clan, politici, religiosi, nazionali. Mai l’ho considerato innaturale. A volte più facile, a volte più complicato ma sempre ovvio. Come potevo credere di andare, che so, in Afghanistan senza curarmi delle complesse simbologie tribali? In Etiopia e non fare i conti con il loro cristianesimo? Nei Paesi islamici senza misurarmi con il Corano presente anche nell’aria? Provate ad andare nella Lituania rimasta per decenni nell’orbita del comunismo sovietico e dire che per voi il crocefisso è un simbolo che limita la libertà, e vedrete che cosa vi rispondono.

      Proprio per questo a me la sentenza di Strasburgo pare aberrante. Perché presuppone un mondo sterilizzato dalla presenza storica dell’uomo (oltre che dell’Uomo), asettico, freddo, insopportabile. Un mondo dove generazioni e generazioni di esseri umani che hanno vissuto, pensato e amato, dovrebbero sparire nell’oblio senza lasciare traccia di sé e dei propri sentimenti.

Fulvio Scaglione

Mi chiamo Fulvio Scaglione, sono nato nel 1957, sono giornalista professionista dal 1983. Dal 2000 al 2016 sono stato vice-direttore del settimanale "Famiglia Cristiana", di cui nel 2010 ho anche varato l'edizione on-line. Sono stato corrispondente da Mosca, ho seguito la transizione della Russia e delle ex repubbliche sovietiche, poi l'Afghanistan, l'Iraq e i temi del Medio Oriente. Ho pubblicato i seguenti libri: "Bye Bye Baghdad" (Fratelli Frilli Editori, 2003) e "La Russia è tornata" (Boroli Editore, 2005), "I cristiani e il Medio Oriente" (Edizioni San Paolo, 2008), "Il patto con il diavolo" (Rizzoli 2017).

2 Commenti

  1. Italo said:

    La sentenza della Corte euopea dei diritti dell’uomo di Strasburgo ha posto un’altra pietra sopra quelle che sono le nostre origini, la nostra identità, la nostra cultura.
    Vedere appesi sulle pareti delle scuole i crocefissi e in questa loro presenza intravedere elementi volti a creare difficoltà ai genitori nell’educare i figli secondo le loro convinzioni mi sembra proprio troppo.
    Non si può assistere impotenti allo smaltellamento delle nostre tradizioni in nome del rispetto della libertà di religione, che é riconosciuta a prescindere. Il nostro Paese ha radici cristiane ed é bene che qualsiasi simbolo volto a ricordarlo e a sottolinearlo sia ben accolto dalla COMUNITA’ ITALIANA.

  2. Fulvio Scaglione said:

    Caro Italo,
    credo che nessuno, in Italia, a parte qualche residuo laicista ormai da museo, la pensi in modo sostanzialmente diverso da me e da te. Dirò di più: sono convinto che se noi chiedessimo agli stranieri immigrati, anche loro direbbero, nella maggior parte dei casi, che il crocefisso non gli dà nessun particolare fastidio. non a casa questa grana assurda è partita per un’iniziativa di una famiglia italiana, con una signora originaria dell’Europa del Nord.
    Ciao, a presto

    Fulvio

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