ANTONIO MARIA COSTA, LO “SCERIFFO” DELL’OPPIO DELL’AFGHANISTAN

Lo “sceriffo” del mondo ha una formazione economica. Antonio Maria Costa è nato in Piemonte nel giugno 1941, ha studiato presso le Università di Torino, Mosca e Berkeley, è stato membro supplente del Fondo Monetario Internazionale, direttore generale di Economia e Finanza presso la Commissione della UE nonché segretario generale della Banca Europea per la Ricostruzione e lo Sviluppo. Nel 2002 è stato nominato direttore esecutivo dell’ufficio Onu che si occupa della lotta contro la droga e il crimine (Unodc), che ha sede a Vienna. È anche vicesegretario generale  delle Nazioni Unite.

 

Antonio Maria Costa, vice-segretario generale dell'Onu.

Antonio Maria Costa, vice-segretario generale dell'Onu.

    Premette: «Le notizie dei continui attacchi contro i nostri soldati in Afghanistan mi fanno soffrire due volte: come italiano e come uomo dell’Onu impegnato in prima linea in attività multinazionali». Afferma: «Posso parlare in maniera esplicita e documentata solo di quel che mi compete, ovvero di stupefacenti e terrorismo legato alla criminalità. Gli ultimi dati sono incoraggianti, pur con qualche chiosa e qualche distinguo. L’Afghanistan è a una svolta. O accompagna la repressione con mirate iniziative di sviluppo e buon governo, o precipita definitivamente nel baratro».
      Le cifre, innanzitutto. «Nel 2009, la coltivazione di oppio è scesa del 22 per cento. Oggi riguarda una superficie di 123 mila ettari, nel 2008 gli ettari erano 157 mila e nel 2007 furono 193 mila. Un calo simile in un biennio era impensabile qualche anno fa. Il declino più significativo si è avuto nella provincia dell’Helmand, nella parte meridionale del Paese, malgrado il forte controllo dei talebani: lì, i terreni occupati dall’oppio sono scesi di un terzo in un anno. Adesso, si estendono su meno di 70 mila ettari. Nell’Ovest, dove operano le truppe italiane, le coltivazioni di droga sono rimaste pressoché stabili. Nella provincia di Herat sono trascurabili (500 ettari). Invece nella provincia di Farah, più a Sud, le coltivazioni sono ancora intense (12 mila ettari): non a caso si tratta di una delle aree più pericolose».

La mappa delle coltivazioni di oppio in Afghanistan tracciata dagli specialisti dell'Onu: in rosso le aree più densamente ciltivate.
La mappa delle coltivazioni di oppio in Afghanistan tracciata dagli specialisti dell’Onu: in rosso le aree più densamente coltivate.

      «Il numero delle province poppy free, ovvero senza coltivazioni di oppio, è comunque salito a 20, su 34», sottolinea Costa. «Il progresso è indiscutibile, anche se occorre molta prudenza a proposito del futuro del Paese. Se la sicurezza non migliora, e se il buon governo non prevale, il progresso nella lotta agli stupefacenti non può durare. Il 9 e il 10 ottobre 2008, il vertice dei ministri della Difesa della Nato, a Budapest, decise che reparti Nato potevano partecipare alle operazioni antidroga a fianco delle forze di Kabul», prosegue Costa. «Da allora, abbiamo censito 98 operazioni con un ruolo attivo di militari Usa e inglesi, e in misura minore polacchi e olandesi. La Germania s’è chiamata fuori. La Francia nicchia. A qualche missione hanno partecipato incursori italiani. Sono state distrutte 450 tonnellate di semi di papavero, 90 tonnellate di precursori chimici (necessari a trasformare la materia prima in eroina), 50 tonnellate di oppio, 19 di hashish e 7 di morfina, con 27 laboratori distrutti. Le operazioni Nato hanno aumentato i rischi legati al traffico, creando un valido deterrente».
      «Ma non mi illudo», precisa Costa. «Se gli ettari d’oppio sono diminuiti è soprattutto per un fatto economico. La domanda mondiale di oppio è da tempo stabile: meno di 5 mila tonnellate l’anno. Nel 2009, solo l’Afghanistan ne ha prodotte 6.900; nel 2008, erano 7.700; nel 2007, di più ancora. Insomma, c’è un surplus che ha fatto precipitare i prezzi. Nel 2002-2003 l’oppio costava 300 dollari al chilo (ma è stato scambiato anche a 700 dollari), ora 40-50 dollari. Nel 2004-2005, a un contadino coltivare oppio rendeva 27 volte più che coltivare grano. Oggi solo il doppio; per contro, il rischio di perdere il raccolto adesso è reale».
      «Siamo a una svolta», conclude Antonio Maria Costa. «Per cambiare, l’Afghanistan deve puntare con decisione sullo sviluppo delle infrastrutture: strade, ponti, scuole, ospedali, distribuzione dell’elettricità (nove famiglie su dieci non hanno ancora la luce), cosa che consentirebbe di conservare le derrate agricole. Può produrre un buon grano, uno squisito zafferano, frutta prelibata e un ottimo miele. La sconfitta degli insorti, sempre più finanziati dai proventi del narcotraffico, non dipende solo o in primo luogo dai successi militari, che pure ci vogliono: è legata a filo doppio all’affrancamento dalla povertà e dalla corruzione. Occorre ottenere il sostegno della popolazione afghana, conquistandone il cuore e il portafoglio».

 
di Alberto Chiara   

Nella foto: Alberto Chiara. Giornalista, da molti anni specialista di temi di politica internazionale. Conosce bene l'Afghanistan, dove ha compiuto numerosi viaggi di lavoro e reportage.

Nella foto: Alberto Chiara. Giornalista, da molti anni specialista di temi di politica internazionale. Conosce bene l'Afghanistan, dove ha compiuto numerosi viaggi di lavoro e reportage.

 
Fulvio Scaglione

Mi chiamo Fulvio Scaglione, sono nato nel 1957, sono giornalista professionista dal 1983. Dal 2000 al 2016 sono stato vice-direttore del settimanale "Famiglia Cristiana", di cui nel 2010 ho anche varato l'edizione on-line. Sono stato corrispondente da Mosca, ho seguito la transizione della Russia e delle ex repubbliche sovietiche, poi l'Afghanistan, l'Iraq e i temi del Medio Oriente. Ho pubblicato i seguenti libri: "Bye Bye Baghdad" (Fratelli Frilli Editori, 2003) e "La Russia è tornata" (Boroli Editore, 2005), "I cristiani e il Medio Oriente" (Edizioni San Paolo, 2008), "Il patto con il diavolo" (Rizzoli 2017).

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