SULLA FAMIGLIA: COSI’ L’ECONOMIA DISTRUGGE IL MODELLO TRADIZIONALE

Qualche giorno fa, dopo il pezzo dedicato al libro  “La famiglia cristiana” di don Antonio Sciortino, si discuteva dei motivi per cui i buoni argomenti della famiglia (base e risorsa della società) non riescono a farsi ascoltare dalla politica. Discorso che riguarda destra e sinistra senza distinzione e che in altri Paesi senza distinzione di colore partitico è stato affrontato: in Francia, le politiche a favore della natalità sono passate quasi inalterate dai governi di sinistra a quelli di destra, perché tutti hanno riconosciuto nell’incremento delle nascite un vantaggio per la nazione. Dal mio punto di vista, la famiglia italiana ha dei problemi a farsi “sentire” soprattutto per due ragioni. La prima è il declino dei valori cristiani, con il conseguente declino del modello di famiglia che essi tratteggiano. Se il modello è in crisi, diventa sempre più difficile convincere gli altri a sostenerlo. E di questo parlerò più avanti. Ora vorrei affrontare la seconda ragione: la crescente difficoltà economica delle famiglie e di coloro che dovrebbero formare nuove famiglie.


      Per rendersi conto di questo, basta sfogliare il Rapporto Annuale dell’Istat, pubblicato solo qualche giorno fa (www.istat.it). Riassunto: il 20% delle famiglie ha difficoltà economiche, il 6,3% delle famiglie non arriva a fine mese, il 22% delle famiglie è economicamente vulnerabile. In più: in Italia ci sono 617 mila famiglie in cui l’unico percettore di reddito è un impiegato a tempo parziale che porta a casa in media 700 euro al mese, e altre 531 mila in cui non c’è nessun occupato, nessuno che lavori. Questo significa che le famiglie “tradizionali” fanno sempre più fatica non solo a reggersi ma anche a reggere la funzione di ammortizzatore sociale che la politica gli ha scaricato addosso. Aiutare i giovani e  curare gli anziani, soprattutto quelli non autosufficienti, diventa prima un problema poi una vera sfida. Quel 22% di famiglie “economicamente vulnerabili” sono famiglie che non possono affrontare i costi di un’improvvisa emergenza medica o di una qualunque spesa imprevista di una certa consistenza. Queste famiglie avrebbero meno difficoltà se gli assegni familiari fossero più corposi, se il fisco accettasse il principio del “quoziente familiare”, se (come hanno proposto di recente le Acli) le spese per la badante (cioè per la persona che quasi sempre si occupa di un anziano che altrimenti graverebbe sul sistema sanitario nazionale) fossero deducibili dalla dichiarazione dei redditi.

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      Questo è già un grosso dramma. A cui s’intreccia, però, un dramma ulteriore: il precariato di massa, che da noi riguarda quasi 3 milioni di persone. Ormai, in Italia, c’è solo il ministro Brunetta a essere convinto che il precariato sia una bella cosa, una specie di scuola di vita destinata a sfociare in una golosa vita professionale. Nella realtà, il precariato genera precariato. Se andate a vedere la rilevazioni dell’Istat, scoprite che quasi metà dei lavoratori precari ha un’età compresa tra i 15 e i 34 anni, l’età in cui si dovrebbe appunto metter su famiglia. E che di questi, quasi 700 mila sono precari per un periodo che va dai 5 ai 10 anni.
      Ci ritroviamo così con questo quadro: moltissime famiglie hanno difficoltà a tirare avanti, dotate di fragilissime difese rispetto agli imprevisti della vita; i giovani non possono formare famiglia nuove, perché troppo penalizzati nel reddito quando avrebbero l’età giusta, e non più giovani quando il precariato finisce e il reddito si stabilizza. In poche parole, la famiglia “tradizionale” (che è anche quella che poi garantisce la sufficiente natalità e svolge la funzione di ammortizzatore sociale di cui si diceva) è minata alle radici da una struttura economica che la penalizza in ogni modo quando esiste, e che in ogni caso la scoraggia dal riprodursi. Difficile, dunque, che un’istituzione attaccata da ogni parte, e in sostanziale ritirata quanto a presenza e peso sociale, riesca a fare massa, a esprimere una rappresentanza tale da influire sulle decisioni della politica.
 
 

Fulvio Scaglione

Mi chiamo Fulvio Scaglione, sono nato nel 1957, sono giornalista professionista dal 1983. Dal 2000 al 2016 sono stato vice-direttore del settimanale "Famiglia Cristiana", di cui nel 2010 ho anche varato l'edizione on-line. Sono stato corrispondente da Mosca, ho seguito la transizione della Russia e delle ex repubbliche sovietiche, poi l'Afghanistan, l'Iraq e i temi del Medio Oriente. Ho pubblicato i seguenti libri: "Bye Bye Baghdad" (Fratelli Frilli Editori, 2003) e "La Russia è tornata" (Boroli Editore, 2005), "I cristiani e il Medio Oriente" (Edizioni San Paolo, 2008), "Il patto con il diavolo" (Rizzoli 2017).

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