IL POPOLO CHE VIVE DIETRO LE SBARRE OVVERO: IL MONDO ALLUCINATO DELLE PRIGIONI

Da noi, a torto o a ragione, si parla molto di sicurezza e di criminalità. Vale allora la pena di dare un’occhiata allo studio intitolato “Popolazione mondiale delle prigioni” dell’International Center for Prison Studies (Centro Internazionale per gli Studi sulle Prigioni) del King’s College di Londra, ovvero di un’università che staziona stabilmente tra i primi 25 atenei del mondo.


Lo studio è scaricabile dal sito (www.kcl.ac.uk) ma credo sia necessaria una sintesi, visto che riguarda 218 Paesi. Diciamo subito una cosa curiosa: il Paese con meno detenuti è San Marino, ne ha solo 1 su 30 mila abitanti. Al polo opposto gli Stati Uniti: con il 5% della popolazione mondiale, gli Usa hanno il 25% della popolazione carceraria mondiale; si tratta di 2,3 milioni di detenuti pari a 751 persone in prigione ogni 100 mila abitanti. Se ci si limita ai soli adulti, il dato (allucinante) è questo: 1 americano su 100 sta in prigione. Tra le altre grandi nazioni sviluppate, l’unica che si avvicina a queste medie è la Russia (625 detenuto ogni 100 mila abitanti). Gli altri seguono da lontano: 151 detenuti ogni 100 mila abitanti in Gran Bretagna, 92 in Italia, 88 in Germania, 80 in Svezia, 63 in Giappone. La media mondiale è di 125.
Come sempre, i dati non vanno solo letti ma anche interpretati. La Cina, che ha una popolazione quattro volte più folta di quella degli Usa, risulta avere “solo” 1,6 milioni di detenuti perché nella statistica non rientrano tutti i poveretti che sono rinchiusi nei cosiddetti “campi di rieducazione”: di loro si ignora non solo il numero (valutabile comunque in centinaia di migliaia) ma anche la presunta colpa.

     prigioneusa.jpg

     Nella foto: l’affollamento in un carcere statale della California,a Los Angeles. 

 Detto questo, resta impressionante l’escalation punitiva degli Stati Uniti. Il record americano della severità, infatti, è cosa degli ultimi decenni. Tra il 1925 e il 1975 la quota di detenuti Usa è rimasta più o meno stabile, intorno ai 110 ogni 100 mila abitanti. Poi, il balzo, con il 2000 a fare da ulteriore spartiacque: in quell’anno, infatti, i detenuti superarono quota 2 milioni e il sistema carcerario minacciò di collassare più o meno intorno a giugno, quando il numero dei posti-letto nelle prigioni risultò inferiore a quello dei prigionieri.

Le cause? Difficile dirlo. Una è, di sicuro, la maggiore facilità a possedere armi da fuoco. Il tasso delle rapine a mano armata a Londra non è di molto inferiore a quello di New York, dove però il numero dei morti ammazzati è di gran lunga più alto. Poi, certo, la diffusione della droga e la reazione delle autorità al narcotraffico. Nel 1980 erano circa 40 mila le persone chiuse in carcere per delitti connessi al traffico di droga, oggi sono più di 500 mila, pari al 55% degli ospiti delle prigioni federali e al 21% di quelle statali. Terza causa: la politica della “tolleranza zero”, che ha inasprito le pene in tutte le categorie di reato, con relative conseguenze: gli Usa sono l’unico Paese occidentale in cui si rischiano lunghe pene detentive anche solo per l’emissione di assegni a vuoto. Un ladro americano può finire dentro per 16 mesi per un furto con scasso, mentre per lo stesso reato si prendono 5 mesi in Canada e 7 in Gran Bretagna. Quarto, la struttura particolare del sistema giudiziario. A livello di contea e di Stato i giudici, negli Usa, sono elettivi. E da sempre la promessa di severità nella lotta al crimine porta buoni voti.

E le conseguenze? La mera osservazione statistica rileva che gli anni della “tolleranza zero” sono anche quelli in cui la criminalità è calata. Ma è davvero merito del rischio-prigione? I carcerati Usa vivono spesso in un ambiente terribile: il 20% di loro ha denunciato violenze sessuali, il 18% soffre di disturbi mentali. Ci sono più malati di mente nelle carceri che in tutto il sistema sanitario e ospedaliero. Risultato: due terzi degli ex detenuti commettono nuovi crimini e tornano in carcere entro tre anni dal rilascio (si vedano i dati forniti dal ministero della Giustizia Usa: www.ojp.usdoj.gov). In America, inoltre, ci sono quasi 2 milioni di “orfani della prigione”, ovvero bambini e ragazzi che hanno uno o entrambi i genitori in prigione con lunghe condanne: tra questi giovanissimi il tasso di criminalità e di incarcerazione è 6 volte più alto della media nazionale. Difficile dunque dare un giudizio. Certo, a guardarsi intorno, passa almeno un poco della voglia, naturalissima, di lamentarsi della sicurezza delle nostre strade.

Fulvio Scaglione

Mi chiamo Fulvio Scaglione, sono nato nel 1957, sono giornalista professionista dal 1983. Dal 2000 al 2016 sono stato vice-direttore del settimanale "Famiglia Cristiana", di cui nel 2010 ho anche varato l'edizione on-line. Sono stato corrispondente da Mosca, ho seguito la transizione della Russia e delle ex repubbliche sovietiche, poi l'Afghanistan, l'Iraq e i temi del Medio Oriente. Ho pubblicato i seguenti libri: "Bye Bye Baghdad" (Fratelli Frilli Editori, 2003) e "La Russia è tornata" (Boroli Editore, 2005), "I cristiani e il Medio Oriente" (Edizioni San Paolo, 2008), "Il patto con il diavolo" (Rizzoli 2017).

5 Commenti

  1. ettore said:

    Caro Fulvio,
    un’osservazione esclusivamente matematica.
    Mi risulta, ma forse sbaglio, che in Italia il numero di reati per i quali si arriva a condannare il relativo colpevole è circa il 5% del totale dei reati commessi.
    Se il nostro sistema avesse un’efficacia del 50%, i dati
    italiani sarebbero perfettamente confrontabili con quelli
    americani. In altre parole,non siamo ai livelli americani
    non perchè le armi non sono diffuse tra la nostra gente, o perchè da noi non ci sia il boom della droga: semplicemente
    perchè complessivamente il nostro sistema inquirente-investigativo-legislativo-giudiziario è una vera …..
    Ciao
    Ettore

  2. Fulvio Scaglione said:

    Caro Ettore,
    ottima osservazione. Io ne faccio un’altra (ma senza conoscere i dati, che dovrò verificare): qual è la stessa percentuale per gli Usa? In altre parole: quanti delitti negli Usa passano senza che si trovi il colpevole? E poi: che cosa nel sistema giudiziario americano è considerato “delitto”? L’emissione di assegni a vuoto da noi non porta certo in carcere (d’altra parte, abbiamo da poco depenalizzato il falso in bilancio, o no?), là sì. In mancanza di questi due criteri, la comparazione risulta un po’ forzata, credo.
    Un abbraccio a te e a tutti

    Fulvio

  3. ettore said:

    Caro Fulvio,
    grazie per la risposta.
    Sarò probabilmente particolarmente avvelenato perchè
    vivendo a Napoli osservo che il concetto di giustizia (inteso
    in questo caso come dare la giusta pena a chi delinque)
    è un concetto estremamente aleatorio.
    Quindi, sempre per valutare con numeri i fatti, ti invito
    a riflettere sul fatto che in Italia ( sicuramente a
    Napoli, non so nel resto d’Italia e in USA) un gran numero di reati non viene
    denunciato. Gli scippi, ad esempio, da noi non
    vengono denunciati. Tutti noi(compreso
    le Forze dell’Ordine, riteniamo che sia una perdita
    di tempo. Non ne parliamo del pizzo;
    se fai una media di un commerciante su due vittima
    della criminalità organizzata in tutta
    l’Italia meridionale, vedrai che il “coefficiente
    di punibilità” dei reati in Italia è patetico.
    Quindi, gli USA rappresentano un caso decisamente non
    felice; ma noi, per certi versi, stiamo decisamente peggio.
    Ciao
    Ettore

  4. ettore said:

    Perdonami Fulvio,
    ho dimenticato anche un altro fattore che rende le statistiche italiane fasulle: l’indulto.
    Ricapitolando :
    in Italia
    a)solo una parte dei delitti viene denunciata;
    b)dei delitti denunciati solo una piccolissima
    percentuale vede punito il reo in via definitiva (e
    questo fatto giustica il punto a );
    c)quelli che finiscono dentro, godono poi
    periodicamente di indulti.
    In parole povere, i dati italiani non possono essere
    messi a confronto con i dati dei Paesi Occidentali.
    Ciao e grazie per la pazienza.
    Ettore

  5. Fulvio Scaglione said:

    Caro Ettore,
    tutto ciò che ricordi è, purtroppo, assolutamente vero. D’altra parte, è una situazione a cui (e ri-purtroppo) ci siamo totalmente assuefatti. Quando stavo in Russia mi capitava spesso questo: i conoscenti italiani mi chiedevano come si potesse vivere lassù, con lo sfacelo, il disordine, la scarsità di tutto ecc.; i conoscenti russi mi chiedevano come si potesse vivere in Italia con la mafia ecc. ecc.
    Su che disastro sia il nostro sistema giudiziario (soprattutto se pensiamo alla “certezza della pena”)non è possibile avere dubbi. Gli Usa, da molti punti di vista, sono l’esatto opposto: certezza della persecuzione del reato, certezza della pena, “tolleranza zero” e, non dimentichiamolo, pena di morte. Ma gli americani non si sentono affatto più sicuri di noi (pensa anche all’immigrazione clandestina, con il muro che stanno costruendo al confine con il Messico e, per altri versi, a culto dell’arma per difesa personale). Il che mi fa pensare che il senso di sicurezza sia del tutto aleatorio e che dipenda non solo dal funzionamento del sistema giudiziario. Per dire, ma qui sparo a caso: forse un’urbanistica diversa, a Napoli, aiuterebbe in tal senso.
    Ciao, ci sentiamo presto

    Fulvio

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