IL DARFUR, LE ONG E LA STRATEGIA DEI RAPIMENTI

Il rapimento in Darfur dei tre volontari di Medici senza frontiere, tra i quali l’italiano Mauro D’Ascanio, non è certo privo di precedenti. Analoga sorte è toccata, per restare solo agli ultimi tempi, a due tecnici petroliferi (ottobre 2007), a quattro operai indiani (maggio 2008), a 11 turisti (cinque in quel caso gli italiani) e otto guide egiziane (settembre 2008) e a tre ingegneri e sei operai cinesi (ottobre 2008). In tre dei casi citati il vero obiettivo dei sequestri era il petrolio e l’attività delle compagnie straniere, in primo luogo cinesi, che di fatto contribuiscono a tenere in vita il regime sanguinario del dittatore Omar Hasan al Bashir. Quindi si trattava di colpi mirati, in cui l’eventuale riscatto diventava quasi una specie di beneficio collaterale rispetto all’interesse politico e che non a caso furono attribuiti all’opposizione armata.

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       In questo quadro, che senso potrebbe avere, per la resistenza al regime di Bashir, attaccare gli uomini e le donne di un’organizzazione umanitaria che opera in Darfur dal 2003, assiste in modo disinteressato oltre 500 mila persone attraverso un centinaio di volontari stranieri e 1.625 operatori locali ed era stata di recente colpita, insieme con altre 12 Ong, da un provvedimento di espulsione perché sospettata di aver fornito alla Corte penale internazionale parte delle testimonianze poi servite a giustificare il mandato d’arresto contro Bashir?

      Pare impossibile, però, che il sequestro dei medici di MsF (foto sotto, uno dei volontari di MsF al lavoro in Darfur) non sia collegato, in un modo o nell’altro, al nuovo clima internazionale creato dal provvedimento della Corte dell’Aja. Le organizzazioni umanitarie sono state spogliate della tradizionale «neutralità» e trascinate da Bashir nella mischia politica, quindi trasformate in potenziali bersagli. Per i movimenti armati della resistenza, che potrebbero così sfruttare la visibilità dei volontari stranieri per accrescere l’impatto delle proprie azioni a danno del regime e della sua residua credibilità. Ma anche per il regime, che tra espulsioni e rapimenti (MsF ha ritirato dal Darfur tutti i collaboratori non sudanesi) potrebbe riuscire a chiudere uno dei pochi canali attraverso cui il mondo riesce ancora a sapere e capire quanto accade nella regione.

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       I prossimi giorni, se non le prossime ore, e lo svolgersi degli eventi ci faranno capire meglio il senso di quest’ultimo dramma e sveleranno la mano che l’ha ordito. Ma se alziamo lo sguardo dalla preoccupazione per i rapiti, dobbiamo riconoscere nel Darfur e nel suo popolo le vittime di una politica che molti considerano morta e sepolta, che nessuno vuole veder rinascere ed è invece viva e vegeta come non mai: la politica delle sfere d’influenza. In sei anni, lo scontro tra esercito sudanese e milizie islamiche janjawid da un lato e gruppi ribelli autonomisti dall’altro ha provocato più di 300 mila morti e tre milioni di profughi. Ma è bastato che il petrolio del Sudan diventasse un bene prezioso per la Cina (che ne importa il 70% e per questo ha costruito a proprie spese un oleodotto lungo 1.400 chilometri) per bloccare qualsiasi ipotesi concreta per fermare il massacro.

      Un solo esempio: gli Usa potrebbero stabilire una «no fly zone» sul Darfur, come quelle a suo tempo decise per proteggere il Kurdistan e il Sud dell’Iraq, sfruttando le loro basi aeree di Gibuti, ma non lo fanno. Come potrebbero dispiacere alla Cina, che pure arma l’aviazione sudanese e addestra i piloti che bombardano il Darfur, se questa detiene, insieme con il Giappone, la maggior quota del debito estero americano? La realtà è questa. E la crisi economica mondiale purtroppo non aiuta a cambiarla.

Pubblicato sull’Eco di Bergamo del 13 marzo 2009   www.eco.bg.it
 

Fulvio Scaglione

Mi chiamo Fulvio Scaglione, sono nato nel 1957, sono giornalista professionista dal 1983. Dal 2000 al 2016 sono stato vice-direttore del settimanale "Famiglia Cristiana", di cui nel 2010 ho anche varato l'edizione on-line. Sono stato corrispondente da Mosca, ho seguito la transizione della Russia e delle ex repubbliche sovietiche, poi l'Afghanistan, l'Iraq e i temi del Medio Oriente. Ho pubblicato i seguenti libri: "Bye Bye Baghdad" (Fratelli Frilli Editori, 2003) e "La Russia è tornata" (Boroli Editore, 2005), "I cristiani e il Medio Oriente" (Edizioni San Paolo, 2008), "Il patto con il diavolo" (Rizzoli 2017).

3 Commenti

  1. fabio cangiotti said:

    Molto chiaro. Vedo che hai cominciato a inserire cartine e foto a corredo degli articoli, sono veramente utili per capire meglio. Salutoni.

  2. mardi said:

    Mi associo al post di Fabio, la chiarezza degli interventi è piu’documentata

  3. Fulvio Scaglione said:

    Grazie ragazzi, cercherò di farlo più spesso.
    Ciao, a presto

    Fulvio

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