LA VITTORIA DI HAMAS OVVERO: IL SUICIDIO DELLE SPERANZE PALESTINESI

      Gli ultimi eventi nella Striscia di Gaza fanno pensare a un ben orchestrato colpo di mano di Hamas. La bomba che una decina di giorni fa ha ucciso cinque miliziani e una bambina è stata un perfetto casus belli: da allora, in pochi giorni, Hamas ha decimato e disperso il clan Hilles, fedele ad Abu Mazen e ad Al Fatah, arrestato coloro che sono ritornati nella Striscia dopo un temporaneo rifugio in Israele, intimidito e messo sotto tutela gli altri.
      Hamas oggi può cantare vittoria. Ma non ci vuol molto per rendersi conto che siamo in realtà di fronte all’ennesima tragedia dei palestinesi. Una tragedia, però, tutta interna, fatta in casa, un dramma di cui nessuno può pensare di addossare la colpa allo Stato ebraico. Quanto più la spaccatura tra i palestinesi si acuisce, tanto meno realistica si fa la speranza di veder nascere un loro Stato autonomo accanto a Israele. E questo, nel medio periodo, può solo spingere Israele verso una maggiore intransigenza: la prospettiva di un solo Stato che comprenda anche i palestinesi (che sarebbero tra il 40 e il 45% della popolazione teorica) è infatti inaccettabile per gli israeliani. Lo Stato ebraico tratta con i moderati di Cisgiordania ma fatalmente, e in qualcuno astutamente, è spinto ad allargare gli insediamenti, a occupare quanta più terra possibile, per garantirsi rispetto al rischio futuro. Questo non può che accentuare le difficoltà dei palestinesi moderati, di Abu Mazen e del Governo di Salam Fayyad, già deboli e indecisi per conto proprio.
      Dall’altra parte, a Gaza, abbiamo Hamas, un movimento assai più deciso (è chiaro, adesso, a che cosa serviva la tregua siglata in giugno con Israele) e compatto, forte di armi e finanziamenti che arrivano copiosi da fuori e della posizione strategica che lo impone alle “attenzioni” dell’Egitto e di Israele. Ma la sua strategia è mortale per i palestinesi, perché si definisce solo ed esclusivamente in opposizione all’esistenza dello Stato ebraico, mentre i palestinesi hanno mille questioni concrete da definire rispetto al proprio futuro e alla propria identità. Meglio continuare a sognare il ritorno dei profughi del 1948, del 1967, del 1970 (il Settembre Nero in Giordania), del 1982 (la guerra del Libano) o costruire un “focolare palestinese” per i milioni che sono rimasti? Trattare, trovare un accordo, e così magari rallentare l’israelizzazione della Palestina, o chiudersi in ghetti armati senza sbocchi e senza prospettive? Sfruttare le possibilità del turismo e dell’agricoltura in collaborazione con il vicino o campare di aiuti e sussidi?
       La realtà è questa, senza illusioni e belletti. Hamas la rifiuta e corre a nascondersi nella lotta armata, nella mistica del martirio, nella sanguinosa retorica del kalashnikov e del missile. Senza accorgersi, o forse non volendo accorgersi, di quanto danneggi i palestinesi proprio il ritardo nella definizione di un progetto nazionale, di un’identità “per” e non solo “contro”. Può piacere o non piacere, essere criticato o elogiato, ma quello dello Stato ebraico è stato ed è un progetto vero. Un ideale, uno scopo definito, un obiettivo “per”. E questa è una delle ragioni non secondarie del suo successo. Quando Hamas avrà conquistato il dominio della Striscia di Gaza, che cosa potrà dire di aver ottenuto, a parte una postazione di favore da cui sparare sulle città israeliane come Sderot? Di quanto i palestinesi saranno più vicini a una vita dignitosa, serena e indipendente? E soprattutto: per quanto tempo ai giovani palestinesi basterà lo spauracchio di Israele per definire e giustificare la propria sofferenza?

Pubblicato su Avvenire del 5 agosto 2008

Fulvio Scaglione

Mi chiamo Fulvio Scaglione, sono nato nel 1957, sono giornalista professionista dal 1983. Dal 2000 al 2016 sono stato vice-direttore del settimanale "Famiglia Cristiana", di cui nel 2010 ho anche varato l'edizione on-line. Sono stato corrispondente da Mosca, ho seguito la transizione della Russia e delle ex repubbliche sovietiche, poi l'Afghanistan, l'Iraq e i temi del Medio Oriente. Ho pubblicato i seguenti libri: "Bye Bye Baghdad" (Fratelli Frilli Editori, 2003) e "La Russia è tornata" (Boroli Editore, 2005), "I cristiani e il Medio Oriente" (Edizioni San Paolo, 2008), "Il patto con il diavolo" (Rizzoli 2017).

2 Commenti

  1. fabio cangiotti said:

    Caro Scaglione, il tuo articolo mi sembra istruttivo e lucido. Tra virgolette ho letto e apprezzato anche quello pubblicato su Famiglia Cristiana su Sderot. Se posso permettermi una osservazione, è una realtà che il progetto sionista “può piacere o non piacere, essere criticato o elogiato”, come tu scrivi. Quando però si va a vedere nel concreto a chi piace e a chi non piace questo progetto, non si può fare a meno di prendere posizione fermamente per la vita di Israele. Che non è affatto sicura o garantita nonostante la potenza militare, come tu ben sai. Ti dirò che come cattolico sono spesso rimasto deluso dal pilatismo di una parte del mondo cattolico (certo non degli ultimi due Papi), che ha delle scusanti perchè deve barcamenarsi tra diverse e opposte esigenze; delle quali la più pressante è forse quella di non mettere a rischio il destino degli arabi cristiani con posizioni troppo esplicite in favore di Israele. Un colpo al cerchio e uno alla botte insomma. Come ripeto ne capisco le ragioni, anche se sono sempre più convinto che avesse ragione Antonio Socci quando tempo fa scriveva che il ritorno degli ebrei nella loro terra (uno dei tanti ritorni) dovrebbe sollecitare una riflessione teologica nella Chiesa. Naturalmente sono convinto che questa riflessione sia da tempo cominciata (a partire dalla De nostre aetate) a livello delle alte sfere, mentre sia molto marginalizzata o assente una meditazione o una consapevolezza generale nel cattolico di base e tanto più nell’uomo “della strada” (soprattutto quando imbevuto di ideologia post-comunista o fascistoide), il quale di solito tende tuttora a nutrirsi degli antichi pregiudizi sul popolo ebraico con cui del resto ha convissuto per molti secoli.
    Ecco perchè considero preziosa l’opera di informazione che giornalisti del tuo livello possono fare. Ho anche ordinato il tuo libro sulla fuga dei cristiani dal M.O., che sono curioso di leggere.
    Cordialità da Fabio Cangiotti

  2. Fulvio Scaglione said:

    Caro Fabio,
    grazie per le osservazioni (non intendo solo quelle positive sui miei pezzi, d’altra parte ci diciamo anche quello che non ci piace, giusto?), preziose e interessanti. Domani metterò nel blog il reportage su Sderot, volevo andarci da tempo e sono contento di esserci riuscito, è un’esperienza che molti (molti anche di quelli a cui pensi tu) dovrebbero fare. Comunque, riaffermato per l’ennesima volta il pieno diritto di Israele a esistere e a vivere in pace, non è che i problemi siano finiti. Avremo molte occasioni per riparlarne.
    Ciao, a presto
    Fulvio

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