TURCHIA, ERDOGAN SOTTO PROCESSO

    Gaza, l’Iraq, il Tibet, il Pakistan. Drammi e crisi non mancano, in giro per il mondo. Stiamo però trascurando, almeno a livello di reazioni pubbliche, la questione potenzialmente più esplosiva di tutte: lo scontro frontale, in Turchia, tra il premier Tayep Erdogan, il presidente della Repubblica Abdullah Gul e il partito che rappresentano (l’Akp, ovvero Partito della Giustizia e dello Sviluppo) da un lato, e la magistratura dall’altro. Succede questo: il procuratore di Cassazione ha chiesto alla Corte Costituzionale di chiudere il partito Akp e interdire dalle attività politiche Erdogan, Gul e altri 69 dirigenti del partito stesso a causa delle loro attività “anti-laiche”. Erdogan, com’è ovvio, ha gridato al golpe per via giudiziaria (“E’ un gesto contro la nazione e la volontà popolare”); i suoi avversari hanno ribattuto che proprio la Costituzione affida alle Alte Corti di Giustizia il compito di vigilare sulla laicità dello Stato, che è appunto uno dei valori costituzionali.
    Per intendere la portata del problema, occorre ricordare che l’Akp, alle elezioni politiche del luglio 2007, ha ottenuto il 47% dei voti e ha sfiorato la maggioranza assoluta nel Parlamento che ha 550 deputati. Non è quindi un partito qualunque, così come non è un politico qualunque Erdogan, ex sindaco di Istanbul ma anche ex detenuto per “incitamento all’odio religioso”. Non è molto chiaro quali siano i provvedimenti “anti-laici” imputati all’attuale Governo. Il più famoso e controverso è il ritiro del divieto di portare il velo islamico per le ragazze e le donne. Ma si tratta pur sempre del ritiro di un divieto, non certo di un obbligo.
    A sostegno di Erdogan è intervenuta l’Unione Europea che, per bocca di Olli Rehn, commissario all’Allargamento, ha ricordato che in una democrazia “sono le urne e il Parlamento a decidere, non i tribunali”. Verità sacrosanta ma inutile per la Turchia, dove la Costituzione, come ricordato poco sopra, stabilisce proprio il contrario. Il rischio vero, ben oltre le aride questioni di principio, sta nel fatto che questa è una storia già vista. In passato già 24 partiti sono stati chiusi per iniziativa della magistratura: islamici, di sinistra, di destra, fiancheggiatori dell’indipendentismo curdo e così via. Tra i partiti islamici chiusi in passato, anche il Refah (nel 1988) e il Fazilet (2001), dalle cui ceneri nacque poi l’Akp.
E’ chiaro, dunque, che gli interventi per via giudiziaria non riescono a contenere, e tantomeno a soffocare, il sentimento popolare che trova poi comunque il modo di esprimersi in politica. Anzi, corrono il rischio di radicalizzarlo. Difficile immaginare che cosa potrebbe succedere se un partito con il 47% dei consensi venisse cancellato da un giorno all’altro. E se tutto questo succedesse in un Paese come la Turchia, decisivo per gli equilibrii del Medio Oriente. Tacciono per ora i militari. Ebbero con Erdogan polemiche feroci che, al momento di andare al voto, aiutarono il premier ad accrescere il proprio successo. Considerati i quattro precedenti colpi di Stato realizzati dalle forze armate (1960, 1971, 1980 e 1997), potrebbe anche trattarsi di un silenzio minaccioso.

http://eng.akparti.org.tr/english/index.html

http://www.turkishdailynews.com.tr

Fulvio Scaglione

Mi chiamo Fulvio Scaglione, sono nato nel 1957, sono giornalista professionista dal 1983. Dal 2000 al 2016 sono stato vice-direttore del settimanale "Famiglia Cristiana", di cui nel 2010 ho anche varato l'edizione on-line. Sono stato corrispondente da Mosca, ho seguito la transizione della Russia e delle ex repubbliche sovietiche, poi l'Afghanistan, l'Iraq e i temi del Medio Oriente. Ho pubblicato i seguenti libri: "Bye Bye Baghdad" (Fratelli Frilli Editori, 2003) e "La Russia è tornata" (Boroli Editore, 2005), "I cristiani e il Medio Oriente" (Edizioni San Paolo, 2008), "Il patto con il diavolo" (Rizzoli 2017).

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